Il trattamento psiconcologico

Il trattamento psiconcologico affronta con serietà e competenza non solo le problematiche del malato, ma anche quelle che di riflesso coinvolgono la famiglia ed il personale sanitario che lo assiste fino all’ultimo. L’assistenza dovuta a questo tipo di pazienti è ben diversa da quella tradizionale poiché spesso va incontro ad una richiesta crescente di cure, spesso mutevoli, per periodi di tempo prolungati ed in ambiti di cura molto diversificati fra loro a seconda della fase di malattia.

L’obiettivo principale è quello di conservare nel paziente la sua “Qualità di Vita” in termini di dignità emotiva e di utilizzare il tempo della malattia per sapersi separare il più consapevolmente possibile prima che avvenga il lutto.

La figura dello Psicoterapeuta, Psico oncologo, si pone come coadiutore dell’intera équipe curante nel ruolo di guida e di sostegno nel percorso di sofferenza sia per il paziente che per i suoi cari.

La Psiconcologia nasce dalla confluenza da un lato dell’oncologia, dall’altro della psicologia e della psichiatria ed analizza due significative dimensioni legate al cancro:

  • l’impatto psicologico e sociale della malattia sul paziente, sulla sua famiglia e per la presa in carico della intera équipe curante che ne è artefice tramite il controllo degli effetti collaterali delle terapie, il controllo del dolore, della sintomatologia ansiosa e depressiva legata alla malattia.
  • Il ruolo dei fattori psicologici e comportamentali che intervengono nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nella cura delle neoplasie soprattutto laddove vi sia familiarità.

L’obiettivo principale nel trattamento del paziente oncologico, qualunque sia la diagnosi, la prognosi, la sua risposta alle terapie, è quello di migliorare la Qualità di Vita (QL) del paziente e di contenere la possibilità di una risposta emotiva che condizioni in senso peggiorativo la sua vita futura. (SIPO 1998).

L’attenzione al paziente oncologico si sviluppa intorno agli anni ’50 presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York ispirandosi all’analisi esistenzialista di Viktor Frankl, neurologo, psichiatra e filosofo austriaco, che per primo definì il concetto di “nevrosi noogena”, concezione secondo la quale l’equilibrio psichico dell’uomo dipende dalla percezione significativa del sé e del proprio vissuto.

In Europa verso gli anni ’70, con il crescente numero di malati e le aumentate possibilità di cura dei tumori, il movimento degli Hospices portò successivamente a focalizzare l’attenzione sulla qualità della vita e sul controllo dei sintomi nel paziente che muore, coinvolgendo le varie figure professionali e il paziente stesso nelle sue decisioni relative ai trattamenti.

Di fatto, l’assistenza psicologica ad un paziente affetto da tumore deve tenere presente che la sua sofferenza non dipende tanto da un disturbo pregresso della sfera psichica, ma il suo disagio è legato dalla situazione traumatizzante causato dalla malattia e questo implica il riferimento ad alcuni concetti fondamentali:

  • Il concetto di crisi considerato come momento di cambiamento dato dall’esplicitazione della diagnosi e dalla risposta dei familiari e curanti, dallo sviluppo di un nuovo equilibrio attraverso l’individuazione di soluzioni adattive e dall’accettazione del cambiamento
  • Il concetto di strategia di adattamento o coping per gestire o diminuire l’impatto che il cancro, in quanto minaccia rappresenta per il suo benessere fisico e/o psichico. Tale capacità è tuttavia soggettiva poiché dipende dalla valutazione cognitiva dell’evento e dalle competenze culturali, dal comportamento che il paziente adotta per far fronte al problema sia in termini di intervento (attivo) che di evitamento (passivo) nonché dal tipo di emotività che emerge.
  • Il concetto di adattamento psicologico plurifattoriale in cui vanno tenuti presenti sia i fattori di vita predittori del possibile adattamento, relativi ai momenti più vulnerabili, allo status sociale, a quanto il soggetto può aver fatto riferimento in precedenza nei momenti difficili. Parallelamente, va tenuto presente l’adattamento individuale al trattamento ed all’organizzazione delle cure ed alle tecniche terapeutiche utilizzate.

La complessità del paziente oncologico: perchè un intervento psicologico?

Non sempre il paziente oncologico “dice la verità” nel senso che l’impatto con la malattia può fargli assumere atteggiamenti di chiusura difficilmente comprensibili o che comunque nascondono realtà più profonde e ben più sofferte. Assumono per esempio atteggiamenti di negazione piuttosto che di drammatizzazione, dedicano le loro cure ai familiari più che a se stessi “per non creare paure e preoccupazioni future” illudendosi durante l’intero percorso di cure. Per questo motivo l’intervento in Psiconcologia deve comprendere sia la dimensione individuale che la peculiarità di certe situazioni famigliari e attraverso test di valutazione quantitativa e tecniche di tipo qualitativo; è così possibile raggiungere una maggior chiarezza sulle cause che alimentano maggiormente il disagio (scale di etero ad auto valutazione) per individuare i soggetti che hanno bisogno di cure psicologiche specifiche. (Hads; QLQ-C30; Termometro del Distress; Mini-Mac).

L’uso di questi strumenti diagnostici, spesso ripetuti a follow up nelle varie fasi di cura, permette all’assistenza terapeutica rivolta al paziente ed ai suoi familiari, di avere un quadro più preciso sull’influenza ed il peso delle determinanti psicologiche nell’ambito della malattia fisica; il fine terapeutico è quello di  contenere lo stato di sofferenza, incoraggiando i pazienti a verbalizzare pensieri e sentimenti negativi che contrasterebbero la compliance alle cure.

Se il paziente è aiutato a sviluppare atteggiamenti e comportamenti più adattivi, può ritrovare un controllo personale sulla propria vita ed una qualità, in termini di dignità personale; questo è favorito attraverso la comunicazione con il terapeuta che può mediare con lo staff medico e con la famiglia, favorendo la soluzione di problemi pratici connessi alla gestione della malattia, restituendo al paziente ed ai suoi caregivers un senso del futuro.

Come si interviene sulla sua malattia e sul modo di affrontarla

  • Comunicazione della diagnosi o di una recidiva: la comunicazione al paziente non è un “atto unico” bensì un processo che si attua nel tempo in più fasi e che deve viaggiare parallelamente al progredire della malattia ed alla sfera emotiva del paziente, alla sua capacità di ascolto e comprensione, facendo attenzione ai suoi meccanismi di difesa, alla sua accettazione ed a quanto già assimilato.
  • Mutilazione fisica: l’insorgenza del tumore ed i trattamenti ad esso legati in caso di mutilazioni fisiche, sono eventi traumatici poiché il rapporto con il proprio corpo mutilato, scuote inevitabilmente la preoccupazione oltre che per le normali abitudini di vita e per l’immagine corporea, anche paure di episodi precedenti o lutti irrisolti; Questo comporta per il terapeuta una presa in carico a più livelli, al fine di rendere il paziente consapevole sia prima che dopo l’intervento.
  • Rifiuto del trattamento: il rifiuto del trattamento in oncologia non è infrequente (circa il 20% dei casi) e per questo può essere necessaria la presenza dello psiconcologo che analizzi e trasmetta i motivi sottostanti il rifiuto all’oncologo preposto anche perché spesso parte di queste opposizioni sono dovute all’incidenza dei disturbi di personalità sottostanti.
  • Domanda di eutanasia: (“mercy killing”) è definita come la domanda fatta a terzi, più spesso dai pazienti ma non raramente anche dai parenti stessi. La legislazione italiana vieta l’atto eutanasico e la richiesta deve essere oggetto di un dialogo e di un’indagine psicologica ben approfondita con il paziente e con i parenti che lo sostengono.
  • Reinserimento: anche quando ci trovassimo di fronte ad una remissione della malattia oncologica, il paziente potrebbe dimostrarsi affetto da ansia e paura del reinserimento nella sua quotidianità. Si parla dunque di “psicopatologia della remissione” in cui il ruolo specialistico dello psiconcologo diventa di fondamentale importanza per il nuovo equilibrio del paziente come trait d’union fra la sua fase di vita precedente e quella attuale.
  • Dolore: il dolore rappresenta uno dei più importanti problemi in oncologia per l’elevata prevalenza e per il peggioramento sulla qualità di vita che crea sul paziente, creando depressione e spesso rischio suicidario. Lo psiconcologo è una figura utile e complementare all’interno dell’équipe di terapia antalgica in quanto, attraverso l’uso di tecniche cognitive e terapie di rilassamento si pone come intervento adiuvante significativo e di grande aiuto per il paziente.
  • Cure palliative: le cure palliative sono definite dall’OMS (1990) “cure globali attive rivolte ai pazienti la cui patologia non risponde o non risponde più ai trattamenti di tipo curativo”. Lo psiconcologo ha fatto parte dell’équipe delle Cure Palliative fin dalle origini, la sua figura ha subito varie e diverse modificazioni nel tempo ed ora, in quanto terapeuta accanto al paziente, ricopre istituzionalmente un ruolo di supervisione dell’équipe di assistenza.
  • Supporto alla famiglia: la diagnosi di cancro porta gravi ripercussioni sull’equilibrio di una famiglia ed a volte la malattia può portare un membro della famiglia ad esplicitare una richiesta di aiuto psicologico sia per le ripercussioni del cancro, sia per le problematiche preesistenti all’evento malattia. Fra l’altro nel complesso sistema malato-famiglia-équipe, spesso si osservano giochi di alleanza e di esclusione che a volte possono anche condurre al rifiuto del trattamento o al ricorso di medicine alternative o, al contrario, ad un’alleanza troppo stretta fra la famiglia ed i curanti cosa che tende ad escludere il paziente. E’ dunque importante che lo psiconcologo si accerti che si sia stabilita la giusta alleanza fra il paziente i curanti e la famiglia, evitando il rischio di rivalità o malintesi.

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA:

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